Giuseppe Peruch, nome di battaglia “Falco”


Nacque a Sacile il 28.9.1919, nel 1940 venne arruolato nell'Arma dell'Aviazione, rientrò a Sacile nel 1943, pochi mesi dopo fu tra i primi a salire in montagna ed a far parte dei partigiani del Gruppo Brigate Vittorio Veneto.

 Il fratello Antonio venne barbaramente ucciso nel settembre 1944 dai Nazifascisti per ritorsione. Ferito gravemente in un conflitto a fuoco nel novembre 1944,  partecipò nell'aprile del 1945 alla Liberazione. Fu ricoverato alla fine del conflitto a Bologna per curarsi, dove rimase dodici mesi.

Nei primi anni Cinquanta svolse l'attività di segreteria per il Senatore  Ciro Liberali.

Dal 1951 al 1961 ricoprì la carica di consigliere comunale a Sacile nelle file dell'opposizione Socialista. 

Si sposò nel 1957 ed ebbe quattro figli, Laura, Emma, Guido e Giuseppe.

Morì il 15.10.1961




Il racconto di Vittoria Bit


“Il Falco della foresta – Giuseppe Peruch Una storia partigiana”

di Vittoria Bit e Roberto De Santa  - 2018 GaspariEditore

                    


Si tratta della rielaborazione in forma di romanzo del diario che mio zio Bepi scrisse nel 1946, un anno dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, un anno che egli aveva trascorso presso l’Ospedale di Bologna per curarsi dopo le gravi ferite che aveva subito nei due anni della sua militanza nel Battaglione Peruch, Brigata “Ciro Menotti”, Divisione Nannetti.  Questo diario, che consta di otto pagine dattiloscritte, era custodito gelosamente dalla famiglia, dalla figlia Emma Peruch, e mi fu casualmente mostrato durante uno scambio natalizio di auguri. 


A distanza di tanti anni emanava ancora una forza, un pathos che mi ha spinto a far sì che non ritornasse nel cassetto, ma potesse essere pubblicato. Con la collaborazione di Roberto De Santa si è scelto di riscriverlo in prima persona, con un linguaggio ironico, semplice, e di abbracciare gran parte degli avvenimenti della Resistenza sulla Pedemontana a Nord di Sacile e nella foresta del Cansiglio.

Il diario copre un periodo piuttosto lungo, dal settembre 1943, quando l’aviere Peruch si trovava nell’aeroporto Enrico Comani di Littoria Latina, fino al maggio 1945, oltre un anno e mezzo. Le avventure raccontate hanno dell'incredibile: dopo l’Armistizio, 

per non essere catturato dai Tedeschi, fuggì sui monti vicini, in località Sermoneta e si nascose per qualche tempo  presso l'ovile di un pastore, prima di  decidere di ritornare al suo paese natale, Sacile, allora in provincia di Udine, in sella ad una vecchia bicicletta Ganna.

Tre mesi di viaggio, in una Italia occupata, prima di fare ritorno a Sacile la notte del 30 dicembre 1943. Nel diario viene raccontata nei dettagli la presa di coscienza della situazione politica e la necessità di lottare contro l’occupazione tedesca. 

Iniziò la sua opera di “disgregazione”, così la chiamava, ma scoperto, dovette  fuggire nel  Bosco del Cansiglio tra le Prealpi Veneto- Friulane e unirsi ai primi partigiani dei neo nati Battaglioni.  Prime azioni armate, sabotaggi, recupero armi. 

In seguito al rastrellamento di fine agosto, inizio settembre 1944, reparti di SS con delatori repubblichini circondarono e bruciarono la sua casa natale e suo fratello minore Antonio venne impiccato nel cortile davanti alla madre. Giuseppe scampò miracolosamente alla cattura. Ritornato in montagna, fu inserito nel Battaglione denominato da allora “Peruch”, dal nome del fratello, della Brigata “Ciro Menotti”, facente parte della Divisione Nannetti, con base in Cansiglio.

In uno scontro a fuoco ravvicinato nella località di Fiaschetti di Caneva, nel mese di novembre 1944“Falco” venne gravemente ferito. Portato in ospedale, dopo essere stato duramente interrogato e prima della sua prossima esecuzione, fu liberato durante la notte da una squadra armata travisata da infermieri,  conun'azione rocambolesca degna di un film.  Riuscì a portare a casa la pelle anche in questa circostanza, e poté continuare   la lotta anche se gravemente menomato sino alla Liberazione.

Il fratello di “Falco”, Antonio Peruch diventò sfortunatamente noto per essere stato impiccato nel cortile della sua abitazione  il 12 settembre 1944 durante il tragico rastrellamento dei Tedeschi casa per casa, successivamente gli fu intitolata una via.

Invece Giuseppe fu dimenticato, essendo morto il 15 ottobre 1961, colpito da infarto fulminante durante una visita all’amico Toni Pessot nel suo locale “La Taverna” a Stevenà, probabilmente in seguito alle numerose ferite di guerra. Lasciava tre figli piccoli e uno in arrivo. 

 

Alcune frasi tratte dal diario:

“Fu la sera di Carnevale del 1944 che recatomi insieme a un gruppo di amici a una festa da ballo alla quale partecipavano parecchi militari repubblichini e nostalgici del risorgente partito fascista, che il mio animo già duramente provato si ribellò: uno di questi mi si rivolse dicendo che se non ero capace di fare il mio dovere di italiano, ci sarebbe stato per me la galera o la corda. Questo fu però per me come una scintilla in un deposito di esplosivo, inghiottii tutto quello che volevo dire e mi ritirai giurando però di iniziare l’offensiva. La mia prima attività fu di portare la disgregazione nei giovani che in quei giorni di febbraio avevano ricevuto la cartolina di presentarsi alle armi per servire la Repubblica di Salò.”

 

Incipit del romanzo :

Ma sì, sono io quello, quello in mezzo, quello più piccolino, putana miseria, non vedi che ho il braccio sinistro immobilizzato.... e lo sarà per sempre. 

Sguardo deciso, baffetti, il basco con la stella, già già, la stella.

A tracolla ho la carabina M1 Winchester, gran bella arma, leggera e precisa, non spara lontano come il  91, ma lo ripeto, è leggera, solo due chili, la posso maneggiare con una sola mano. 

Mi hanno detto che era l'arma anche del partigiano Johnny, sua figlia l'ha ritrovata in fondo ad un armadio dopo cinquant'anni, dimenticata da tutti. Non so, qui le notizie arrivano fumè.

Comunque, la mia M1 l'ho avuta solo verso la fine della guerra, in quel terribile inverno del '45 e putana misera, se l'avessi avuta prima, forse mi sarei tenuto l'uso di tutte e due le braccia.

Invece, quella volta, avevo solo una vecchia pistoletta e pure il colpo non è partito del tutto, il proiettile si è inceppato nella canna.

Così quel sergente tedesco, molto più grande e grosso di me, mi è saltato addosso, urlando e richiamando i suoi camerati. Eh già, avessi avuto la Winchester, avrei risposto al fuoco, invece mi hanno mitragliato colpendomi al braccio e al collo. 

La vena buttava fuori come una fontana.

Ma se hai pazienza, te la racconto bene io la storia.

Dal punto di vista stilistico, quindi questo è un romanzo costruito come una specie di memoriale con uno stile immediato, semplice, a volte ironico, come se un giovane del 1919, quindi che aveva all'epoca dei fatti 24 anni, si rivolgesse a un giovane di oggi.

Vittoria Bit

 

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