LA RESISTENZA DELLE DONNE A CANEVA

LE DONNE E LA RESISTENZA


Dopo l’8 settembre del 1943, data della dichiarazione dell’armistizio con gli anglo-americani, quando iniziò il crollo dell’esercito e delle istituzioni e cominciò ad avanzare l’occupazione tedesca, truppe di soldati sbandati e stanchi cominciarono a giungere dalla Jugoslavia, dall’ Albania, dalla Grecia il ruolo delle donne divenne fondamentale.

“Le donne che sono mogli, che sono madri, che hanno mariti lontani a combattere nei tanti fronti aperti durante questa durissima seconda guerra mondiale, aiutano tutti quelli che giungono, non li conoscono, ma li aiutano. Aiutano i militari che provengono da tutte le parti d’Italia ed anche ed anche i militari stranieri. Come li aiutano? Aprono le dispense, danno loro da mangiare; aprono gli armadi, danno loro da vestire, aprono le case, danno loro un posto dove nascondersi, dove proteggersi, dove rifugiarsi; cercano di aiutare come possono questi uomini sbandati.” 
Da “Solo un passo - memorie di donne partigiane dell’ Altolivenza" - Marta Roghi, Cristina Trinco, Paolo Cossi  

Una per tutte fu la mamma di Antonio Masutti “Nettuno”: Angelina Cao.

“Pensate: accolse per prima tutti questi soldati, li sistemò in casa, diede loro da mangiare e da vestire. Le autorità fasciste locali ebbero sentore della faccenda e più volte richiamarono la donna ma, chi sa perché, non presero provvedimenti nei suoi confronti. 
Angelina comunque ad un certo punto pensò bene di trasferire i suoi ospiti in un luogo più sicuro, e li fece accompagnare in una casa in Pian Salere, continuando però ad assisterli ed a far loro pervenire il necessario per mezzo delle figlie Maria, Alba e Giuliana (poi diventate partigiane).” 
Da “Ricordi del Partigiano “Freccia” – Toni Pessot 


LE STAFFETTE PARTIGIANE


Le donne che parteciparono alla Resistenza hanno rivestito un ruolo importantissimo che la storia ha lasciato, purtroppo, un po’ nell’ombra. Le staffette partigiane si occuparono di far pervenire ai combattenti viveri, ordini, informazioni, vestiti e attrezzature. Spesso misero a disposizione le loro abitazioni per nascondere armi, fuggitivi o anche ospitare incontri segreti. Furono loro a curare i partigiani feriti. In diversi casi collaborarono alla messa in atto di sabotaggi o diversivi. Queste donne coraggiose hanno rischiato la vita per mettersi al servizio della Resistenza.
Come ricordato nel bel libro di Marta Roghi, Cristina Trinco e Paolo Cossi, "Solo un passo - memorie di donne partigiane dell'Altolivenza" (frutto di un lavoro di ricerca storica dell'Associazione UTE di Sacile), anche nel nostro Comune diverse furono le staffette partigiane che, a partire dalla primavera del 1944, iniziarono a fare la spola tra la pianura e il Cansiglio e sul Col Alt per aiutare i partigiani. 



Queste le storie, riportate nel libro, di quattro staffette partigiane di Sarone : Olga De Re, Eginia Manfè (detta Gina), Bruna ed Enrica Fedrigo. Queste eroine hanno rischiato tutto, anche la loro stessa vita, per aiutare la Resistenza. Operarono tra Sacile, Caneva e la montagna, venendo più volte fermate dai tedeschi, o addirittura arrestate. Il loro coraggio, il loro sangue freddo e il loro spirito di iniziativa furono fondamentali per riuscire a sopravvivere e ad essere di fondamentale aiuto alla causa.








MARIA LUCCHESE – RICORDO DI UNA FIGLIA 


“Durante il conflitto mia mamma ( i suoi fratelli più grandi erano già in Francia dagli anni ’30) aveva un fratello sul fronte greco-albanese ed uno che faceva il fotografo da ricognizione sugli aerei da bombardamento. Quest’ultimo precipitò con l’aereo a Napoli Capodichino e rimase gravemente ferito riportando conseguenze che anni dopo gli furono fatali. Mio padre, al tempo suo fidanzato, era guardia frontiera in Slovenia-Croazia e poi fu deportato in Germania. Mia mamma a quei tempi aveva già i genitori anziani (nonno classe 1875, nonna 1882) e lavorava da Lucchetta, negozio emporio-osteria ben avviato e noto in paese. Si occupava di tutto, acquisti, vendite, fornitori, essendo il proprietario in guerra in Libia. In più lavorava al sostegno familiare alzandosi prestissimo tutte le mattine per svolgere le faccende domestiche prima di recarsi al lavoro.

Mi raccontava della povertà della gente che non poteva pagare, di alcuni più in miseria di altri ai quali cercava di allungare qualcosa abbondando rispetto al peso della merce acquistata (o abbonava il debito mettendoci del suo). Raccontava anche di un signore ricco proprietario terriero il quale vendeva la sua merce al negozio e imbrogliava, cercando di piazzare a caro prezzo le sue uova spesso marce. Più di una volta mia mamma gliele rispedì indietro dicendo che se le mangiasse lui, vista la freschezza, indifferente alle sue minacce di denunciarla se non gliele avesse pagate. Mi raccontava dei tedeschi che bevevano quantità di vino come fosse birra, e lei faceva in modo che non si ubriacassero mandandoli a casa prima che l’alcool li facesse sragionare creando situazioni di conflitto.

Una volta alcuni tedeschi (affamati forse) le rubarono i 3 tacchini che aveva allevato. Lei (non aveva paura di niente) si recò alla Centrale Elettrica dove c’era il Kommandantur tedesco a reclamare la refurtiva e fu risarcita, con tante scuse, fino all’ultimo centesimo. Sono piccoli aneddoti che però rendono l’idea di quanto le donne siamo state importanti per le famiglie e la comunità, mentre gli uomini erano lontani, al fronte o al confino.

Io ho sempre amato la storia fin da piccola, adoravo visitare i musei nelle poche gite parrocchiali del tempo, sentire le spiegazioni dei cimeli. Essendo le generazioni nella mia famiglia molto “larghe”, ho avuto modo di sentire “storie” che coprivano un periodo lunghissimo di vita. Mia madre, poi, era una che in famiglia amava raccontare con brioso senso critico episodi di vita vissuta suoi, dei suoi famigliari e di Caneva, che ne era la cornice. Tutti i personaggi da lei citati prendevano per me vita, anche se molti non li avevo mai conosciuti. A questi racconti si univano le discussioni politiche tra i miei famigliari e i loro amici, e alla fine mi chiedevo come mai la Storia della gente fosse così diversa da quella dei libri.”


DEL COL BRUNA – RICORDO DEL FIGLIO CARLO 

Vi invio questo mio scritto, memoria di mia mamma Del Col Bruna di Stevenà , classe 1923.
Ricordi raccontati da mia mamma Del Col Bruna, . Potrebbero esserci dell'imprecisioni.



Al centro della foto la porta bandiera è Del Col Bruna , partigiana con il nome di battaglia Libertà 



Nel novembre del 1944, mia madre fu arrestata , su una soffiata, nei giorni che arrestarono suoi compagni d'arma ,Pessot Antonio detto Freccia e Antonini Giuseppe detto Anna.
Anche lei fu incarcerata in quei giorni nella centrale elettrica di Stevenà insieme a loro. Dopo alcuni giorni fu trasferita nelle carceri di Udine dove rimase per sei mesi. Mi raccontava, che periodicamente veniva chiamata, per essere interrogata e qui sovente torturata. La facevano sedere su una sedia , alla rovescia, le tenevano una pistola puntata alla testa e frontalmente aveva un cane che lo facevano ringhiare. Sembra un film ma e stata la realtà. Botte e sberle in quantità, quando fu liberata alcuni suoi amici non la riconobbero.
Nelle interrogazioni le chiedevano che compiti aveva nella resistenza , io non sono una partigiana rispondeva lei. Poi le facevano vedere una lista di nomi , tutti partigiani , del suo paese Stevenà e Caneva.
Lei ripeteva sempre la stessa cosa. Li conosco tutti , sono del mio paese e siamo cresciuti insieme , ma non so se sono partigiani .
Mi raccontava , uno stratagemma. Dove era rinchiusa lei, sopra c'era la sala interrogazioni. Nella sua stanza c'era un camino e attraverso quello riusciva a sentire le interrogazioni, quindi poteva capire come comportarsi, sentiva i lamenti di tutti quelli che torturavano.
I primi giorni di aprile ,1945mi raccontò che all'interno del carcere fucilarono molti partigiani.
Il 20 aprile fu scarcerata.
Ritornò al paese e contribuì agli ultimi giorni alla liberazione.
Dopo alcuni giorni della liberazione, i partigiani cercarono i collaborazionisti dei nazifascisti e questa è storia.
Portarono davanti a mia madre , una ragazza della sua stessa età ,, 22 anni.
Questa è la persona che ti ha denunciato ai nazifascisti, cosa ne facciamo.
Seppe che la denuncio perche un tosat faceva la corte a mia mamma e lei era invidiosa o gelosa?
Mia madre disse . Sono qua , salva, lei è come me una ragazzina , lasciatela andare.
non la fucilarono. Le tagliarono i cappelli, appesero un cartello e la portarono in giro per il paese.
Non ho saputo chi era questa donna.
Quando mia mamma ritornava al paese, questa donna quasi si inginocchiava per chiederle perdono e ringraziarla.
Questa è la storia che mia mamma mi ha raccontato.
Poi mi racconto un episodio successe mesi prima. Si stava recando in montagna, con una compagna. A quei tempi si andava per tanti motivi, per legna, altro. Una pattuglia di fascisti le fermò. Fortunatamente non controllarono il sacco della compagna. Dentro c'erano approvvigionamenti per i partigiani e il fazzoletto della Brigata Menotti.
Belmessieri Carlo






Natalina Bit in Dal Cin – ricordo di Vittoria Bit.


Fu una delle vittime innocenti di Stevenà del secondo conflitto mondiale: non aveva scelto di indossare la divisa e imbracciare un fucile, come fecero i partigiani, ma si trovò a subire le conseguente degli eventi della storia. 

Viene citata nel diario di Toni Pessot, assieme ai caduti del paese, fucilata, lui scrisse. 

Era nata il 25 dicembre 1924, il giorno di Natale e quindi chiamata Natalina, figlia di Antonio Bit e Enrichetta Cesa. Sposata con Antonio Dal Cin, aveva anche una figlia, Renata. 

Del suo  tragico destino ci sono poche notizie: le spararono in Pian Salere mentre domenica 18 febbraio 1945 era salita a raccogliere le radicele, le prime erbe della fine dell’inverno. Presso l’Istituto della Resistenza di Vittorio Veneto c’è la sua foto, ma con il nome della sorella Maria. Forse nella confusione della fine della guerra i dati vennero scambiati. La mia ipotesi è che abbia incontrato una pattuglia di militi tedeschi, che sia stata scambiata per una staffetta partigiana e uccisa. Infatti 5 giorni prima in una zona più a nord del Cansiglio, ma non lontana, si era svolta una feroce battaglia fra i partigiani e i tedeschi. In questo scontro gli uomini della Resistenza avevano avuto la meglio, per la prima volta erano riusciti ad attaccare con le armi che avevano ricevuto durante i lanci. Grazie anche a una fitta nebbia che era scesa sulla zona alle 11 del mattino, quando iniziarono nel primo pomeriggio le sparatorie, i tedeschi non riuscivano più a orientarsi, ovunque si dirigevano, trovavano dei partigiani che sparavano loro addosso. Costoro pattugliavano il Cansiglio  dall’iniziodell’inverno e conoscevano ogni anfratto, ogni albero. I tedeschi riuscirono a scendere solo la mattina dopo, ma ci furono diversi morti e dovettero abbandonare parecchie armi. Forse qualche giorno dopo tornarono in ricognizione, e si imbatterono nella povera Natalina. 


Lasciò una figlia piccola, che venne poi cresciuta dalla sorella. Sono ora sepolte insieme nel cimitero di Stevenà.








Commenti

  1. Ringrazio per aver inserito mia mamma nella vostra documentazione. Carlo

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