MARIO DANELUZ “TUBA”


 Racconti di Mario Daneluz, nato il 16.09.1924, nome di battaglia Tuba

raccolti dalla nipote Tania Daneluz

 

LA GUARNIGIONE A SARONE

CONVIVENZA E QUOTIDIANITA' TRA SARONESI E TEDESCHI 

Il rapporto tra paesani e tedeschi a Sarone e nel circondario oscillava tra tentativi di pacifica convivenza e azioni belligeranti.

I tedeschi che risiedevano a Sarone erano per la maggior parte soldati che arrivavano dal fronte dell'Abruzzo per riposare e mediamente erano di buon temperamento.

Frequentavano le osterie, la chiesa, e spesso risiedevano nella case degli abitanti.

Alcuni vivevano nello stabile delle ex poste di Sarone, che era il loro comando generale, un Sergente viveva presso una vedova in via Montello, nel cortile dei Barnat, un altro al secondo piano della vecchia latteria in via Mazzini. Le famiglie erano obbligate ad ospitarli, anche se questi non pagavano né affitto né i viveri. Si incontravano spesso nelle osterie del paese, bevevano, e usavano fare il giro del loghet cantando prima di andare a messa. 

Facevano addestramento nei campi in Agra, dove avevano scavato delle trincee e sparavano verso il Col de San Martin.

Dir comune era che fossero dei bravi 'canterini' e avessero una buona cultura musicale. 

Una volta io e amici eravamo in osteria e cantavamo un  alla meglio delle canzoni del tempo. Tre tedeschi lì presenti erano però  irritati dalla nostra scarse capacità canore e il comandante urlò: "RausItaliener 'gra gra gra'" (imitazione del nostro canto) cacciandoci dall'osteria e apostrofandoci per le nostre stonature. Alcuni dei miei amici volevano rispondere a pugni, ma saggiamente suggerii di allontanarci per evitare di andare incontro a grane.

I tedeschi avevano la cucina nel cortile di Tommasella, nell'ex panificio di Sarone, e la stalla con le mucche in una stradina laterale di via Mazzini. La stalla era gestita da due prigionieri Russi (che in seguito si unirono ai partigiani) e le mucche erano magrissime per la penuria di foraggio. Quando passavamo di làcon il carretto pieno di fieno i due allevatori russi cercavano sempre di agguantare qualche ciuffo di fieno, o canne dellepannocchie da dare alle povere bestie.

A differenza dei comuni soldati tedeschi, più miti e inclini alla pacifica convivenza, gli alti comandi tedeschi erano bellicosi e inflessibili.

I rastrellamenti erano frequenti, io ne ricordo uno in particolare avvenuto nel comune. Un gran numero di giovani erano stati catturati e portati a Udine per una successiva deportazione in Germania. Furono qui rinchiusi in un interrato di un palazzo, il quale aveva una seconda porta chiusa con il lucchetto. La fortuna fu dalla parte dei prigionieri, in quanto nella cantina trovarono 'pala e picon' con i quali poterono forzare la porta. Questa dava accesso agli interrati dell'edificio adiacente e poterono in questo modo evadere da li. 

Un altro fatto a testimonianza della brutalità dell'invasore fu l'incendio appiccato a due case di Sarone.

Bruno Fedrigo, il fratello di mia mogli Enrica, era partigiano così come lo erano i loro cugini. Le due famiglie abitavano in un cortile a Sarone in via Cansiglio, in due case adiacenti. 

I tedeschi, venuti a conoscenza che i cugini Fedrigo erano partigiani, appiccarono fuoco alla loro casa. Non sapevano del fratello di mia moglie. Le due case però erano attaccate e così andarono a fuoco entrambe. Il Comune poi ha provveduto ad assegnare un alloggio ad entrambe le famiglie e, in un secondo momento, a ricostruire loro la casa. I cugini sono stati sistemati in una casa in via Mazzini, nel 'cortivo' dell'osteria Varnier, la famiglia di mia moglie invece è stata messa al secondo pianodell'edificio delle poste. Questa collocazione però non durò molto, in quanto i tedeschi occuparono l'edificio delle poste, depositarono al secondo piano le armi e le munizioni, e rilegarono la famiglia Fedrigo in soffitta. 

I tedeschi che vivevano li erano appena arrivati dal fronte, erano sempre cortesi con loro e stanchi della guerra. 

Al tempo io e mia moglie Enrica non ci conoscevamo, ma successivamente mi raccontò che il comandante le faceva la corte, che per scherzare le tirava i fiocchetti delle trecce, e le aveva chiesto se alla fine della guerra l'avrebbe seguito in Germania. Enrica da integerrima e segreta staffetta partigiana, non aveva mai dato retta alle sue attenzioni. Spesso inoltre i giovani tedeschi portavano le patate alla mamma di mia moglie, Maddalena Viel, per chiederle se poteva far loro il grandissimo piacere di cucinarle e friggerle secondo la sua ottima ricetta.

 






VICENDE DI GUERRA A SARONE

Nel '45 giravano voci in paese che i tedeschi avevano intenzione di bruciare Sarone, così molte famiglie decisero di rifugiarsi in montagna.

Nel 44 c'è stato il rastrellamento dei partigiani in Cansiglio da parte dei tedeschi, è stata la disfatta dei partigiani. Avevano ricevuto l'ordine di ritirarsi, in quanto non avevano più né munizioni né cibo, ed erano completamente circondati dai tedeschi. 

A gruppi sono scesi dalla montagna, nei corridoi liberi, alcuni arrivavano fino al Palù. Io, mio fratello Giacomo dormivamo liin mezzo al granoturco e ci siamo svegliati perché sentivamo il rumore dei cani che abbaiavano. 

In paese i tedeschi avevano collocato dei cannoni nel cortile dei Belon, dietro a via Mazzini.  Venuti anche a conoscenza del fatto che stavano andando di casa in casa per effettuare rastrellamenti, noi giovani ragazzi siamo scappati a nasconderci nel Palù

Mentre eravamo in fuga di notte nei campi lì attorno sentimmo un vociare, ci mettemmo subito in allerta e ci nascondemmo dietro a dei cespugli. Per fortuna si trattava di altri compaesani in fuga che stavano discutendo sul da farsi. Ci parlarono di un possibile attacco dei tedeschi e suggerivano di attraversare anuoto il fiume Livenza e raggiungere l'altra sponda. Di là saremmo stati più al sicuro. 

Era autunno, di notte, e solo l'idea di gettarci nelle fredde e vorticose acque del Livenza ci metteva i brividi. Restammo qualche secondo ammutoliti a riflettere su quell'eventualità finché uno dei miei compagni di fuga, mio cugino Daneluz ,ruppe il silenzio riassumendo i nostri pensieri inespressi: 'pitostde trarme la dhentro me ciape un balin in testa'.

Rimanemmo così nascosti lì per tre giorni e costruimmo un nascondiglio. Scavammo un buco in un campo di verze, e attorno ci mettemmo le piante delle verze più grandi così che le loro foglie coprissero il rifugio. Non era di certo un posticcino confortevole tanto che decidemmo di non dormire li dentro, ma nel caso in cui ci fossero stati degli avvistamenti di tedeschi ci sarebbe stato di grande aiuto.

Arrivavano tedeschi da fuori, e questi erano più aggressivi di quelli residenti in paese.

Alla fine del '44 i Partigiani si riorganizzarono e ritornarono in montagna così decisi di unirmi a loro. Quando mi presentai c'era Attilio Zoldan, comandante della squadra dei partigiani, e il fratello di Giacomo Fedrigo. Entrambi concordarono nel darmicome nome di battaglia 'Tuba' che significa 'recluta'.  

L'areoplano degli Americani, chiamato Pippo, insieme all'aiuto dei compaesani, ci portava cibo, munizioni, vestiario e anche soldi. Nella piana del Cansiglio con l'aiuto di alcuni partigiani inglesi dotati di trasmettitore, comunicavamo con gli americani per fornire indicazioni sui materiali che ci servivano e ricevere informazioni sull'arrivo di Pippo. Una volta concordate le tempistiche dell'arrivo di Pippo, accendevamo un fuoco al centro del Cansiglio per farci identificare e questo rilasciava i pacchi con le forniture. Tra i partigiani c'erano anche alcuni russi e polacchi.

Mia moglie Enrica Fedrigo e la sorella Bruna, andavano in montagna a portare cibo e cambio di abiti per il loro fratello, Bruno Fedrigo, che dal '43 si era unito ai partigiani. Divennero così staffette partigiane, portarono un gran numero di lettere e ordini dalle squadre dislocate in montagna ai comandi a Sacile. Fu al termine di uno di questi tragitti in montagna che vennero fermate da un partigiano. Fu scioccato nel vederle, e le informòche quel sentiero che avevano appena percorso era minato. Erano vive per miracolo! Passo dopo passo impararono a riconoscere le aree minate e divennero esperte staffette partigiane.

Io corsi un gran rischio a Sacile, a metà aprile: mi trovavopresso l'ingresso della vecchia filanda, lungo la pontebbana, con la mitraglia pesante e altri due partigiani di Sarone. Da lontano vedemmo arrivare un carro armato tedesco. Arrivato a 100 m da noi, tirammo una mitragliata per farlo fermare. Lui inizialmente rallentò, ma poi riprese a correre e tirò dei colpi per fortuna in aria. Se avesse puntato appena più in basso ci avrebbe colpiti tutti quanti, per fortuna si sapeva già dell'imminente sconfitta dei tedeschi e con grande probabilità non volevano piantare grane.  

Il 23-25 aprile del '45 i tedeschi lasciarono Sarone. Io ero con altri due partigiani con la mitraglia pesante a metà montagna, sopra le cave. Alcuni tedeschi si consegnarono come prigionieri ai partigiani, altri si incamminavano a piedi verso la Germania, perché non avevano neanche più benzina per le auto. I tedeschi catturati dai partigiani vennero rinchiusi nell'edificio delle attuali scuole elementari di Sarone, oppure nella stalla vicino alle cave. I partigiani portavano loro da mangiare, ma non era facile in quanto avevano poco cibo persino per loro stessi. 

Dopo un breve periodo vennero consegnati al comando americano a Vittorio Veneto.


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