2 GIUGNO 1946 - IL PRIMO VOTO DELLE DONNE A CANEVA
A 74 anni da quel 2 Giugno1946, oggi più che mai, la festa della Repubblica è la festa della democrazia italiana, il debutto di una nuova epoca, la chiusura con l’oscurantismo fascista che per un ventennio aveva tolto libertà e diritti.
Il 1946 è però anche l’anno del debutto elettorale delle donne italiane che avviene il 10 marzo, giorno delle elezioni amministrative, in base al decreto legislativo luogotenenziale n. 23 del 1945, del governo Bonomi in un momento in cui il Nord Italia è ancora sotto i nazi-fascisti.
Il decreto stabilisce per la prima volta il diritto di voto per le donne maggiorenni mentre un successivo provvedimento ne formalizza l’eleggibilità.
Queste elezioni, però, non interessarono tutto il territorio nazionale proprio perché il Nord non è ancora stato liberato. Ecco perché il primo test del suffragio universale in un'Italia integrale e liberata è il voto del 2 Giugno.
Un'Italia in cui uomini e donne, con timori ma anche con forza e speranza, vanno a votare. Con le donne pienamente coscienti che non si trattava di una concessione ma di una conquista alla partecipazione attiva e passiva alla vita politica del Paese: un diritto conquistato nei lunghi anni della guerra e della Resistenza e di cui se ne erano a pieno titolo appropriate lavorando nelle fabbriche al posto degli uomini al fronte e lottando a fianco degli uomini in montagna.
Passano dall'essere "donne prolifiche che danno figli alla patria" ad essere soggetti attivi e partecipi di un evento capace di generare una trasformazione epocale: il passaggio da Monarchia a Repubblica, da totalitarismo a libertà. Sono cittadine a pieno titolo, che fanno la fila in attesa dell’apertura dei seggi per esprimere il proprio voto.
E quell'immagine di una donna sorridente che, a risultato conseguito, alza il giornale su cui a caratteri cubitali c'è scritto "Repubblica!" ne è lo specchio più fedele, più solare e più significativo.
Mi chiedo che cosa sarebbe diventata l'Italia se avesse saputo mantenere vivi quel sorriso, quella speranza, quei sogni.
È difficile comprendere appieno il significato di quell’ avvenimento per chi vive un tempo in cui i testimoni sono purtroppo ormai rimasti pochi. Quelle che seguono sono poche ma significative testimonianze, raccolte dai figli, di donne forti e generose, che dopo essere state sostegno con il loro instancabile lavoro per le famiglie e la comunità negli anni della guerra e del dopoguerra, hanno contribuito anche alla costituzione della Repubblica e della democrazia del nostro Paese.
Isidoro Zandonà.
TESTIMONIANZE DI CANEVA
2 GIUGNO 1946 – MARIA MARCELLA ARPIONI - RICORDO DEL FIGLIO
“Te se un republican!” questo mi diceva mia madre, classe 1924, quando mi ricordava che ero nato il 2 giugno, lo stesso giorno in cui nasceva la Repubblica italiana. Ed io ogni tanto le chiedevo: “e ti, par chi atu votà?”. E devo dire che lei, non rispondendo subito, diceva: “a l’è passà tan temp, me par par la republica. To nona credo l’abie votà par la monarchia”. Sì, perché sia la mamma Maria Marcella che la nonna Santa hanno partecipato il 2 giugno 1946 a quello storico evento, che è stato il referendum che cambiò l’assetto istituzionale del nostro Stato da monarchia a repubblica e avviò il processo democratico del Paese, con l’elezione di quell’assemblea che doveva riscrivere la costituzione dopo un ventennio di dittatura. E mia madre ricordava spesso come per la prima volta nella storia italiana anche le donne parteciparono ad una consultazione elettorale e che lei c’era stata in quel momento. Devo dire che la risposta evasiva mi lasciava un po’ perplesso, perché era difficile non ricordare quale scelta era stata fatta, visto che due erano le “opzioni”.
Una cosa però ho percepito subito: che per la generazione di mia madre il voto non era solo un diritto, ma anche un dovere. Fino a che ha potuto, credo che non abbia mai mancato una elezione, che fosse nazionale o amministrativa e locale. “A che ora ‘ndene a votar?” mi chiedeva ogni volta che c’era da andare ai seggi. Devo però dire che ultimamente, lei che aveva partecipato al primo referendum il 2 giugno 1946, aveva “disertato” qualche referendum. Ricordava anche il “clima” che si respirava in quelle prime consultazioni. Tra me, mio padre e mia madre, l’anima “social” della famiglia era senza dubbio lei. Prima di andare a votare, conoscendo la sua esuberanza, le ricordavo sempre: “me racomando, non bisogna mia parlar quando sen là”, e lei: “varda che so le robe, no son mia insemenida!”
Mia madre, se lasciava aperta a qualche incertezza la sua scelta repubblicana, non aveva dubbi nel raccontare il suo voto democristiano. Anche in questo caso, credo che da quella generazione dobbiamo oggi imparare qualche cosa. Nei suoi racconti evidenziava come fossero forti le pressioni ideologiche in quei periodi e come anche le istituzioni religiose entrassero nel dibattito politico. Eppure non ho mai sentito mia madre parlare in termini negativi di chi era “dall’altra parte”. Non ho mai sentito dire frasi come “i comunisti mangiano i bambini”, c’era del rispetto in chi la pensava diversamente e stimava figure come Enrico Berlinguer e Nilde Jotti, o - per par condicio - ammirava l’oratoria di Giorgio Almirante. Non l’ho mai sentita parlare male neanche di casa Savoia. Se pensiamo che la sua generazione si è formata ed è cresciuta con personalità che non erano dei semplici politici ma dei veri statisti, come Alcide De Gasperi, forse questo diventava per loro naturale. La politica era anche una scuola di educazione civica.
Oggi sono convinto che mia madre abbia votato “repubblica”, perché negli ultimi tempi, lei cresciuta democraticamente con De Gasperi e che aveva visto all’opera politici come Moro e Berlinguer, di fronte al degrado del linguaggio e dell’agire politico, delle volte diceva: “ho votà republica, ma se tornese indrio...” E questo perché paragonava la “sua” classe dirigente a quella che lo show di palazzo offriva e offre oggi. E non credo fosse solo un moto di nostalgia per i suoi vent’anni e la gioventù passata. E, tra me e me, sorridevo pensando che, va bene che quello che offre oggi il mercato non è proprio l’ideale, ma se pensiamo che avremmo potuto avere un Vittorio Emanuele IV o un Emanuele Filiberto, teniamoci pure questi. Evidentemente lei ricordava ancora, dei Savoia, le figure malinconiche e tutto sommato non compromesse con la dittatura, di Umberto II e Maria José.
Il prossimo parlamento sarà chiamato a eleggere fra qualche anno il successore di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Visto l’andamento, sinceramente mi viene da dire: “che Dio ce la mandi buona”. Che non mi tocchi andare a trovare mia mamma e dire: “ah, se te podese tornar indrio, penseghe ben, me raccomando, che no ‘vese rason la nona Santa”.
Naturalmente è un pensiero che dura pochi secondi. Poi ripenso all’esclamazione di Sandro Pertini, alla fine del suo discorso alle Camere riunite, il giorno del giuramento come Presidente della Repubblica: “W la Repubblica, W l’Italia”
2 GIUGNO 1946 –MARIA LUCCHESE – RICORDO DI UNA FIGLIA
“Purtroppo mia mamma non c’è più, sarebbe stata una buona testimone oculare dei fatti svoltisi in quel tempo.
Lei diceva sempre che, appena dopo la guerra, erano tutti come frastornati dal fatto di ritrovarsi finalmente liberi, non essere più vessati e controllati da fascisti-tedeschi-partigiani con scopi ben diversi tra loro. Non riuscivano a creder di potersi esprimere liberamente senza che qualcuno facesse la spia vendendoti all’una o all’altra fazione, non c’era più la censura, non avevano più paura.
Quando ci fu nel 1946 il referendum istituzionale lei era euforica di poter votare. La sua inclinazione politica era ovviamente cristiana, i suoi personaggi di riferimento Don Luigi Sturzo e Alcide de Gasperi. Andò di notte per le strade ad incollare manifesti propagandistici per la nuova forma di governo. Di notte, poiché erano liberi da poco e non si fidavano ancora di esporsi completamente, dopo tanti anni di fascismo.
Negli anni poi è sempre stata di fede democristiana, di stampo trentino, ma con i misfatti di Andreotti e l’avvento di Berlusconi, decise che la sua Democrazia Cristiana non era più tale e votò a sinistra fino alla sua scomparsa.”
2 GIUGNO 1946 – RICORDO DI LIBERA FELTRIN –
E’ un piccolo ricordo quello che racconta Libera. Lei non ha votato perché aveva 20 anni e bisognava averne compiuto 21 per essere maggiorenni e poter votare. All’ epoca lavorava all’osteria che ora si chiama “Al Castello”. Ricorda che fu una giornata molto speciale: il padrone del bar non chiudeva mai ma per quell’occasione ci fu un’eccezione, tanto era importante l’evento del Referendum.
E si ricorda Libera nei giorni precedenti una grande euforia anche da parte del monsignor e delle suore, a convincere soprattutto le donne a fare la scelta giusta, magari perché ancora non ci si “fidava” di loro che per la prima volta votavano.
E si ricorda Libera nei giorni precedenti una grande euforia anche da parte del monsignor e delle suore, a convincere soprattutto le donne a fare la scelta giusta, magari perché ancora non ci si “fidava” di loro che per la prima volta votavano.
2 GIUGNO 1946 - 2 GIUGNO 2020
La prima petizione a favore del voto femminile venne presentata al Parlamento nel 1877 da Anna Maria Mozzoni, pioniera del nostro femminismo, ma fu solo settanta anni più tardi, con il decreto luogotenenziale n. 23 del 30 gennaio 1945, che confermava la proposta del Presidente del Consiglio Bonomi, capo del governo provvisorio istituito dal Comitato di Liberazione Nazionale dopo la caduta del Fascismo, che le donne italiane poterono cominciare ad esprimere la propria opinione politica.
Tuttavia il decreto non prevedeva ancora l’eleggibilità delle donne, ma nell’attesa del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, nell’aprile 1945, si era insediata la Consulta, il primo organismo politico nazionale in cui entrarono 13 donne, invitate direttamente dai partiti, col compito di elaborare una legge elettorale per l’Assemblea Costituente.
Nella neoeletta Assemblea Costituente sedettero le prime 21 parlamentari donne, molte delle quali avevano preso parte alla Resistenza, alcune pagando a caro prezzo le loro scelte.
E’ grazie al loro contributo che le donne poterono non solo eleggere i propri rappresentanti, ma anche essere elette.
E’ grazie al loro contributo che le donne poterono non solo eleggere i propri rappresentanti, ma anche essere elette. Queste alcune delle 39 parlamentari della Prima Legislatura.
Tuttavia il decreto non prevedeva ancora l’eleggibilità delle donne, ma nell’attesa del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, nell’aprile 1945, si era insediata la Consulta, il primo organismo politico nazionale in cui entrarono 13 donne, invitate direttamente dai partiti, col compito di elaborare una legge elettorale per l’Assemblea Costituente.
Nella neoeletta Assemblea Costituente sedettero le prime 21 parlamentari donne, molte delle quali avevano preso parte alla Resistenza, alcune pagando a caro prezzo le loro scelte.
E’ grazie al loro contributo che le donne poterono non solo eleggere i propri rappresentanti, ma anche essere elette.
Ecco le parole emozionate di Bianca Bianchi il primo giorno del mandato nella Costituente: “La confidenza con Montecitorio è una conquista più difficile ancora. Me ne vado su e giù per il transatlantico, rispondo alle domande dei giornalisti curiosi, mi siedo sulle poltrone disposte ai lati, leggo i giornali in sala di lettura e non mi azzardo ad allontanarmi. Mi dà l’impressione di trovarmi in un labirinto e mi sento di nuovo una ragazza di campagna. Sono molto tesa quando entro per la prima volta nell’aula della Camera. Sento gli sguardi degli uomini su di me. Cerco di osservare gli altri per liberarmi dal senso di disagio. Lentamente entrano i deputati eletti nelle liste di quindici partiti: li guardo attraverso l’emiciclo, prendere posto secondo una geografia politica molto rigida. (…) Ci sono due porte d’ingresso in aula: una a sinistra, una a destra. I compagni mi hanno avvertito di non sbagliare per non trovarmi mescolata a “reazionari politici” e tradire l’ideale. Io avevo già sbagliato: ho attraversato l’emiciclo e mi sono seduta nel terzo settore a sinistra, terzo banco”.
L’affluenza femminile alle urne confermò le aspettative delle donne e fu molto alta: le donne, a tutti i livelli e di ogni classe sociale sentirono l’importanza del momento, così come testimoniato nelle parole della giornalista Anna Garofalo: “Le schede che ci arrivano a casa e ci invitano a compiere il nostro dovere, hanno un’autorità silenziosa e perentoria. Le rigiriamo tra le mani e ci sembrano più preziose della tessera del pane. Stringiamo le schede come biglietti d’amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi nelle lunghe file davanti ai seggi. E molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione. Le conversazioni che nascono tra uomo e donna hanno un tono diverso, alla pari”.
E’ grazie al loro contributo che le donne poterono non solo eleggere i propri rappresentanti, ma anche essere elette. Queste alcune delle 39 parlamentari della Prima Legislatura.
Grazia Gotti, 21 donne all'assemblea
Il contributo delle donne alla Carta Costituzionale
Bibliografia
- CENTRO ITALIANO FEMMINILE EMILIA ROMAGNA IL GENIO FEMMINILE DELLE “MADRI COSTITUENTI” Il contributo delle donne all’Assemblea Costituente 1946 a cura di Laura Serantoni
- Ecointernazionale: 2 Giugno 1946, le donne si prendono la storia
- Il viaggio della costituzione: le 21 donne della Costituente
- Le donne parlamentari della prima legislatura repubblicana nell'articolo ''39 donne alla Camera'' della 'Domenica del Corriere' (6 giugno 1948)
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